Via Benedetto Marcello 2, 20124 Milano
LUN-DOM 11.00 – 18.00
ARTISTI:
Benni Bosetto
Tomaso Binga (Collezione Ramo)
Benni Bosetto risponde alle domande di
Irina Zucca Alessandrelli, curatrice della Collezione Ramo
Dai una definizione di cos’è il disegno per te.
Il disegno per me è luogo di sperimentazione. Amo la sua immediatezza. Il disegno arriva sempre prima del pensiero, per questo è utile, perché contiene ciò che ancora non si conosce. Sorprende e stupisce. Inoltre, è un mezzo in grado di decodificare e trasformare la realtà lineare. Permette alla mente di perdere il controllo in un linguaggio visionario più incerto e sospeso, senza la necessità di rispondere al mondo della logica.
Qual è il tuo rapporto con il disegno?
Il disegno fa parte della mia quotidianità, è una forma di comunicazione che controllo e gestisco istintivamente. Questo controllo mi permette di catturare visioni complesse, di fare emergere pensieri differenti e combinarli insieme, di osservare meglio e di giocare in un tempo breve e in uno spazio contenuto. La mia è una ricerca che parte dal corpo, e il disegno si mantiene il mezzo che fluisce direttamente senza interruzioni dal corpo all’ambiente.
Il disegno è territorio estremamente versatile nella mia pratica. Viene spesso utilizzato come medium principale, come nei disegni su seta o nelle istallazioni a parete, ma si trova anche all’interno di elementi scultorei o nel processo di produzione, di ricerca e di sperimentazione.
E con la storia dell’arte italiana del secolo scorso?
Da artista guardo sempre attentamente al secolo passato, lo concepisco come se non ci fosse alcuna delimitazione temporale. Sappiamo bene, soprattutto in questo periodo che la concezione di libertà del corpo non è mai al sicuro. La storia non si sviluppa in evoluzione e per questo bisogna creare una relazione di sorellanza con le artiste e gli artisti del passato, ci apparteniamo e ci supportiamo.
Perché hai scelto quest’opera della Collezione Ramo?
Avevo la necessità di comunicare con una figura femminile dell’arte del 900, secolo in cui la donna non riusciva a ottenere una posizione di visibilità e ascolto nel sistema dell’arte. Tomaso Binga è un’artista che a partire dalla costruzione del nome ha giocato sul ruolo del suo corpo e del suo essere artista.
La nostra pratica si discosta a livello visuale ma è presente una certa similitudine nella ricerca di una codificazione femminile del corpo ed in particolare modo del corpo come forma di linguaggio. Per entrambe le parole sono troppo instabili, traditrici e vulnerabili, il disegno, il segno, il gesto invece, avendo la capacità di modellarsi e adeguarsi permette di sopravvivere in ogni territorio. Si tratta di una questione di libertà.
In questo specifico progetto ho deciso di costruire un disegno ambientale su carta creando un dialogo con l’opera Dattilocodice (tavola n13) in cui, come nella ripetizione desemantizzante delle lettere nel disegno di Binga, andrò a costruire un’unica installazione su carta, ripetendo ritmicamente una serie di immagini e trasformandole sempre nella loro unicità. Nella ripetizione queste immagini prenderanno la funzione di codice e di linguaggio nascosto.